IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dal Comune di Corniglio, rappresentato e difeso dall'avv. F. Bassi e domiciliato nello studio di questo, in Parma, via Petrarca, 20, contro la Commissione centrale per la finanza locale ed il Ministero dell'interno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Bologna, via G. Reni, 4; per l'annullamento della decisione 2 giugno 1992, con la quale non sono state approvate le controdeduzioni comunali (deliberazione n. 4 del 27 febbraio 1992) ed e' stata confermata la decisione dell'8 febbraio 1991, relativa alla deliberazione n. 7 dell'8 febbraio 1991 di modifica alla pianta organica del personale comunale; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione delle Amministrazioni resistenti; Vista la memoria prodotta dalle Amministrazioni a sostegno delle proprie difese; Visti gli atti della causa; Udita, alla pubblica udienza del 22 novembre 1994 la relazione del dott. A. Scola e udito, altresi, l'avv. R. Rossolini, in sostituzione dell'avv. F. Bassi, per l'Amministrazione ricorrente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue; F A T T O Il Comune ricorrente espone quanto segue. Con deliberazione consiliare 19 marzo 1990, n. 47, il comune di Corniglio si determinava a trasformare, tra gli altri, un posto di "esecutore applicato" (quarta qualifica funzionale) in un posto di "Istruttore aggiunto amministrativo addetto al servizio elettorale" (sesta qualifica funzionale), assegnando il posto trasformato alla sig.ra Lorella Musetti, dipendente di ruolo dal 1 aprile 1980 e gia' unico titolare in possesso dei prescritti requsiti per la sua copertura (doc. n. 1). Con deliberazione consiliare 8 febbraio 1991, n. 7, il comune di Corniglio procedeva alla modifica ed ampliamento della pianta organica vigente, disponendo di sottoporre detta deliberazione alla approvazione della Commissione centrale per la Finanza locale (doc. n. 2). Con decisione 8 ottobre 1991 la Commissione centrale per la Finanza locale, esaminata la citata deliberazione consiliare 8 febbraio 1991, n. 7, del comune di Corniglio, considerato che l'incremento dei posti di organico da n. 28, esistente nel precedente ordinamento, a n. 32, connesso al disposto ampliamento della pianta organica comunale, si appalesava solo in parte giustificato da effettive dimostrate nuove esigenze di servizio, ritenuto che dei nuovi posti di organico previsti nel detto ampliamento - fossero essi risultanti da trasformazione di alcuni posti preesistenti, ma con attribuzione di qualifiche inquadrabili in piu' elevato livello funzionale, fossero essi istituiti ex novo potesse consentirsi il corso favorevole solo per quelli che apparissero obiettivamente giustificati sotto il profilo funzionale, oltre che quantitativamente contenuti nei limiti delle esigenze operative, nonche' per quelli che erano diretti a colmare carenze organiche che attualmente apparivano piu' evidenti soprattutto in taluni settori in crescente espansione per effetto delle nuove attribuzioni conferite per legge agli enti locali, si determinava ad approvare, con raccomandazioni e limitazioni, la modifica della pianta organica, adottata dal comune di Corniglio con la deliberazione consiliare 8 febbraio 1991, n. 7, assegnando all'ente medesimo un termine di 90 giorni per eventuali controdeduzioni (doc. n. 3). Con deliberazione consiliare 27 febbraio 1992, n. 4, il comune di Corniglio si determinava - per quanto qui interessa - ad inoltrare alla Commissione centrale per la finanza locale una sola controdeduzione. Con la stessa, premesso che il comune di Corniglio con propria deliberazione consiliare 19 marzo 1990, n. 47, aveva adottato una modifica della pianta organica, si rilevava che la Commissione centrale per la Finanza locale con la decisione controdedotta aveva ritenuto di non approvare la trasformazione del posto di "Esecutore applicato" (quarta q.f.) in "Istruttore aggiunto amministrativo addetto al servizio elettorale" (sesta q.f.), di cui alla deliberazione consiliare 19 marzo 1990 n. 47, posto che la stessa non era stata espressamente citata tra le trasformazioni consentite. Con decisione 2 giugno 1992 la Commissione centrale per la finanza locale si e' determinata a non approvare le controdeduzioni formulate dal comune di Corniglio con la deliberazione consiliare 27 febbraio 1992, n. 4, confermando, per il resto, la decisione 8 ottobre 1991, relativa alla deliberazione consiliare 8 febbraio 1991, n. 7 (doc. n. 5). Di qui il presente ricorso, proposto per: A) Eccesso di potere per ultrapetizione. Ed, infatti, dato che era stata sottoposta al suo esame la sola deliberazione consiliare 8 febbraio 1991, n. 7, con la quale il comune di Corniglio aveva proceduto alla modifica ed ampliamento della pianta organica, non era evidentemente consentito alla Commissione di estendere il proprio sindacato ad altre deliberazioni consiliari non sottoposte al suo esame. B) Erronea applicazione dell'art. 7, alinea, d.-l. 7 maggio 1980, n. 153, convertito nella legge 7 luglio 1980, n. 299. Risulta inequivocabile che la sottoposizione all'esame della Commissione centrale per la finanza locale di una modifica della pianta organica di un ente locale e' richiesta dalla legge solo allorquando essa modifica determini un aumento di spese. Nel caso in esame, invece, la trasformazione del posto di "Esecutore applicato" (quarta q.f.) nel posto di "Istruttore aggiunto amministrativo addetto al servizio elettorale" (sesta q.f) non ha comportato alcun aumento di spesa a carico del bilancio comunale (doc. n. 7). C) Violazione dell'art. 3.1, legge 7 agosto 1990, n. 241 - difetto o comunque insufficienza di motivazione. Le pubbliche amministrazioni intimate si costituivano con la difesa erariale, che resisteva al ricorso, eccependo il corretto operato della p.a. stessa. Con memoria, il comune ricorrente illustrava le sue argomentazioni. Con altra memoria, il comune di Corniglio evidenziava la recentissima entrata in vigore di norme legislative asseritamente coonestanti le sue ragioni ed insisteva per l'accoglimento del gravame. Veniva respinta un'istanza cautelare, e accolta un'istanza di prelievo. La controversia passa in decisione. DIRITTO Il primo motivo di ricorso e' sicuramente infondato e va, quindi disatteso, per le ragioni accuratamente esposte dalla difesa erariale e fatte proprie da questo collegio per la loro obiettiva attendibilita': non si puo' ravvisare "ultrapetizione" in presenza di una deliberazione che solo incidentalmente ha acquisito rilievo. Orbene, la C.C.F.L., nella composizione di cui all'art. 6, quindicesimo comma, del d.-l. 29 dicembre 1977, n. 946, convertito nella legge 27 febbraio 1978, n. 43, e successive modificazioni) e' competente ad esaminare le deliberazioni concernenti i piani di riorganizzazione degli uffici e dei servizi degli enti locali (ai sensi dell'art. 4 della legge n. 3 dell'8 gennaio 1979, di conversione del d.-l. 10 novembre 1978, n. 702, riconfermato dagli artt. 3 e 4 del d.-l. 7 maggio 1980, n. 153, convertito nella legge 7 luglio 1980, n. 299), il cui numero dei posti complessivo venga a superare il tetto del personale risultante in servizio a vario titolo il 31 dicembre 1976. L'art. 7 della predetta legge n. 299 del 7 luglio 1980 ha riservato, invece, all'esclusiva competenza della C.C.F.L. "ogni altra modifica della pianta organica comportante aumento di spesa". Le modifiche di organico in questione non possono, poi, essere deliberate dagli enti interessati se non in presenza di dimostrata insufficienza delle piante organiche, ai sensi dell'art. 20 del d.-l. n. 38 del 28 febbraio 1981, convertito in legge n. 153 del 23 aprile 1981. Dal complesso di queste disposizioni emerge che il legislatore ha inteso assegnare alla Commissione un incisivo potere di verifica delle deliberazioni adottate in materia di modifica o di ristrutturazione delle piante organiche del personale degli enti locali, con ampio margine di valutazione tecnico-discrezionale, a tutela dell'interesse generale al contenimento della spesa pubblica, secondo un criterio di uniformita' tra enti similari, potere il cui esercizio puo' sindacarsi in sede di legittimita' solo in caso di palese illogicita'. Questo potere risulta comunque esercitabile ogni qualvolta la commissione venga a conoscenza di deliberazioni di propria competenza, indipendentemente dalle prese d'atto dei comitati regionali di controllo che, nel caso particolare, limitano la propria attivita' alla verifica della legittimita' formale dei provvedimenti comunali. D'altra parte, sottrarre alla possibilita' di un controllo una deliberazione non trasmessa alla Commissione centrale per la finanza locale significherebbe lasciare arbitro l'ente controllato di decidere se farla controllare o meno. La deliberazione n. 47 del 19 marzo 1990, pur comportando una riduzione di spesa teorica, in quanto le maggiori retribuzioni in favore del personale, derivanti dalle riqualificazioni dei posti, venivano compensate dalla soppressione di un posto vacante di ausiliario-fattorino, risultava illegittima, dato che le modifiche erano state effettuate su posti coperti (in violazione, pertanto, della normativa di accesso in vigore) e, per quel che concerne l'istituzione del posto di istruttore direttivo addetto alla Segreteria, settima qualifica funzionale, in violazione dell'art. 2 del d.P.R. n. 347/1983. Questa norma, suddividendo gli enti in varie tipologie, corrispondenti per i comuni alle classi delle segreterie comunali, non consentirebbe, infatti, la presenza nella struttura dell'ente ricorrente, di figure inquadrate nella settimna qualifica funzionale. Il successivo decreto del Presidente della Repubblica n. 268/1987, integrato dal d.P.R. n. 494/1987, pur mantenendo la suddivisione degli enti locali in "tipi" (art. 21, terzo comma), ha concesso la possibilita', ai comuni con popolazione inferiore ai 3000 abitanti, di prevedere nella propria struttura figure inquadrate nella settima q.f., in deroga alla tipologia predetta, subordinandone comunque l'approvazione all'esame esclusivo della C.C.F.L. (art. 5, ventunesimo comma). A cio' si aggiunga, quanto all'aumento di spesa asseritamente inesistente, che la delib. cons. com. n. 4/1992 e' praticamente immotivata laddove pretende di ipotizzare un risparmio di spesa in presenza - al contrario - di un suo aumento asseritamente piu' che controbilanciato da un diminuito lavoro straordinario, che notoriamente non puo' servire da termine di paragone, trattandosi di una voce di spesa non fissa, ma occasionale e variabile, oltre che - tendenzialniente - da evitarsi. La riqualificazione (trasformazione) del posto di esecutore applicato in istruttore, essendo stata inclusa in un piu' generale provvedimento di modifica della pianta organica, comprendente trasformazioni di indubbia competenza della C.C.F.L., non poteva pertanto essere estrapolata dalla medesima Commissione, la quale, effettuando il prescritto esame, ha approvato la proposta ritenuta oltre che legittimabile dal punto di vista formale, anche giustificata in riferimento ai servizi da garantire alla collettivita'. Alla luce di quanto sopra risulta, pertanto, destituita di fondamento anche la seconda doglianza. A questo punto, riguardo al terzo motivo, va osservato che la C.C.F.L. dopo un primo esame delle deliberazioni sottoposte al suo vaglio, e' pervenuta alla decisione di parziale approvazione, concedendo al comune la possibilita' di controdedurre entro novanta giorni. Nel primo provvedimento, assunto l'8 ottobre 1991, la commissione ha concesso l'istituzione di 2 nuovi posti e la trasformazione di 7 unita' preesistenti in altrettante di piu' elevata qualifica funzionale, negando la sola trasformazione del posto di esecutore in quello di istruttore, non ritenuta giustificata da effettive, dimostrate esigenze di servizio; esigenze attentamente valutate, sia in considerazione della natura e delle dimensioni demografiche e territoriali dell'ente, sia con (necessario) riferimento agli indici proporzionali medi riscontrati in campo nazionale, in relazione alle unita' numeriche normalmente necessarie per il funzionamento delle strutture dei singoli settori (con cio' si e' effettuata la valutazione comparativa prevista dall'art. 20, primo comma, del d.-l. n. 38/1981, convertito nella legge n. 153/1981, che il comune ricorrente asserisce invece essere mancante). Nel secondo provvedimento, adottato il 2 giugno 1992, a seguito delle controdeduzioni dell'ente, richiamata la decisione dell'8 ottobre 1991, alle cui motivazioni la C.C.F.L. ha rinviato in conformita' all'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (che il Comune ritiene a torto esser stato violato), e' stata respinta la richiesta di trasformazione, essendosi, peraltro, rilevato che, nella specie si trattava di posto risultante coperto (l'eventuale ammissione del nuovo posto di qualifica funzionale superiore rispetto a quello trasformato avrebbe comportato la violazione della normativa di accesso): non puo', dunque, ravvisarsi alcun difetto di motivazione nel provvedimento della C.C.F.L. perche' a motivarlo adeguatamente e' sufficiente il richiamo (v. testi normativi citati a pag. 4) alla imprescindibilita' del concorso per coprire il posto di livello superiore, e cio' toglie ogni pregio anche alla terza censura qui dedotta. A questo punto, come prospetta la difesa dell'ente ricorrente, si evidenzia quanto segue, dopo che i tre motivi di ricorso sono risultati infondati. Nella Gazzetta Ufficiale n. 253 del 28 ottobre 1994 e' stata pubblicata la legge 28 ottobre 1994, n. 596 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 agosto 1994, n. 515, recante provvedimenti urgenti in materia di finanza locale per l'anno 1994). In forza dell'art. 2.01 della citata legge, all'art. 3, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, dopo il sesto comma, e' stato inserito il seguente comma 6-bis: "I provvedimenti deliberativi riguardanti il trattamento del personale degli enti locali che, adottati prima del 31 agosto 1993, abbiano previsto profili professionali od operato inquadramenti in modo difforme dalle disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983 n. 347 e successive modificazioni e integrazioni, sono validi ed efficaci. La disposizione del presente comma si applica agli enti locali ancorche' dissestati i cui organici, per effetto dei provvedimenti di cui sopra, non superino i rapporti dipendenti-popolazione previsti dal quattordicesimo comma, del presente articolo, cosi' come modificato dall'art. 2 del decreto-legge 27 agosto 1994 n. 515". Evidenziato che il comune di Corniglio, rientrante nella fascia demografica da 1.000 a 2.999 abitanti, ha un organico non superante il rapporto dipendenti-popolazione consentito e cioe' 1/100, sembrerebbe incontrovertibile che la questione dedotta in giudizio abbia trovato una soluzione favorevole al comune ricorrente in virtu' del precetto legislativo sopra riportato. Orbene, proprio questo risultato induce il collegio a sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale della normativa appena ricordata, per contrasto con gli artt. 3 (principio di uguaglianza formale e sostanziale) e 97 (buon andamento ed imparzialita' della pubblica amministrazione; accesso concorsuale ai pubblici impieghi), della Costituzione. Tale questione e' palesemente rilevante ai fini del giudizio in corso (per quanto si e' appena finito di esporre, attesa l'infondatezza delle tre censure dedotte col ricorso introduttivo) e non manifestamente infondata, come emerge dalle considerazioni che seguono e che inducono la Sezione a trasmettere gli atti processuali alla Corte costituzionale ed ad attenderne una pronuncia in merito, tanto sembra evidente il contrasto con le citate norme costituzionali, circa le quali va ricordato quanto segue. La Costituzione, quanto al principio di uguaglianza, oltre a presupporlo in molte altre disposizioni, ne fa oggetto di specifica dichiarazione nell'art. 3, per il quale: "Tutti i cittadini . .. sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Tale statuizione, ispirata alle esigenze della giustizia e del rispetto della persona e che e' strettamente collegata con la dichiarazione contenuta nell'art. 1, per cui l'Italia e' una repubblica democratica, consacra il principio di eguaglianza come fondamentale per il vigente ordinamento costituzionale. Essa ha un significato duplice: per quanto riguarda la posizione del popolo nello Stato e nella struttura stessa di questo; e per quanto riguarda la posizione dei cittadini. Sotto il primo aspetto si tratta del risultato e della conclusione del movimento filosofico e politico, durato per secoli, per l'abolizione degli arbitri e dei privilegi e per la generale partecipazione del popolo alla vita dello Stato. La democrazia, intesa appunto come partecipazione di tutti i cittadini alla formazione ed al funzionamento dei massimi organi dello Stato, come accoglimento del principio della maggioranza e della tutela delle minoranze e dei singoli, come diritto dei cittadini a non essere governati che dalla somma della loro volonta', trova il suo fondamento nel principio di eguaglianza. Esso informa di se' la struttura dello stato, attuale ed anche futura, poiche' la quasi totalita' dei principi direttivi e programmatici contenuti nella costituzione sono riaffermazioni ed applicazioni, in campi diversi, del principio di eguaglianza, per il quale, appunto, non si puo' consentire che enti locali che abbiano violato la legge siano in qualche modo "premiati" rispetto a quelli che l'abbiano rispettata. Il principio di uguaglianza e', altresi, strettamente connesso con la disposizione dell'art. 2 della Costituzione, poiche' il riconoscimento dei diritti del singolo e l'imposizione dei doveri di solidarieta' secondo giustizia, sono altrettanti corollari del principio di eguaglianza: tradotti in istituzioni politiche danno vita alla "rappresentativita'" dello Stato. Sotto il secondo aspetto, la disposizione vuol significare la eguaglianza giuridica dei cittadini che si concreta in un loro modo generale di essere (per quanto riguarda la personalita', i diritti, i doveri, le potesta', ecc.), che garantisce all'individuo una condizione o posizione status di parita' giuridica rispetto agli altri individui e di parita' di trattamento a parita' di condizioni e di requisiti. Dove manca un motivo ragionevole ed accettato dalla comune coscienza giuridica per stabilire trattamenti differenziati, deve essere usata eguaglianza di trattamento: e cio' vale, a maggior ragione, per gli enti pubblici. Il principio, secondo una ormai assodata giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze 26 gennaio 1957, n. 28; 14 luglio 1958, n. 52; 3 ottobre 1958, n. 56; 14 luglio 1961, n. 42; 28 novembre 1961, n. 64, 27 febbraio 1962, n. 8 e, relativamente alla imposizione di tributi, 13 dicembre 1963, n. 155), va inteso nel senso: 1) che ad eguaglianza di condizioni soggettive ed oggettive deve corrispondere eguaglianza di trattamento legislativo, mentre non vanno pareggiate situazioni oggettivamente diverse, perche' il principio di eguaglianza vieta che si dettino leggi diseguali per casi eguali e leggi eguali per casi disuguali. Da un lato, e' vietata la concessione di privilegi, cioe' l'attribuzione al singolo (ente) di situazioni, diritti, ecc., particolari, che in qualche modo amplino il suo stato giuridico rispetto a quello di cui gode la generalita' dei soggetti che si trovino in pari condizioni; dall'altro, sono vietate le esclusioni e le limitazioni che creino una disparita' di trattamento per persone (o enti) che si trovino in parita' di condizioni o per il singolo rispetto alla generalita'; 2) che il legislatore ordinario possa dettare norme diverse per regolare situazioni che egli ritenga obiettivamente diverse, adeguando cosi' la disciplina giuridica agli svariati aspetti della vita. La diversita' delle situazioni deve risultare da criteri di razionalita' e congruita' comunemente accolti e deve riguardare categorie di destinatari e non singoli cittadini (o singoli enti). Non puo', in definitiva, ammettersi che i dipendenti di enti che, nell'effettuare gli inquadramenti spettanti a questi stessi in base alla normativa in vigore, a quest'ultima si siano attenuti, vengano trattati in modo peggiore rispetto ai dipendenti favoriti (magari per episodi di clientelismo o addirittura per episodi penalmente rilevanti) dagli enti che tale normativa abbiano violato. Quanto invece, all'art. 97, della Costituzione (buon andamento; imparzialita' della p.a.; accesso concorsuale ai pubblici impieghi), valgono invece, le considerazioni che seguono. La funzione amministrativa deve sempre svolgersi secondo i principi sanciti dalle leggi, nei limiti da queste fissati e per i fini che le leggi impongono di perseguire, per cui risulta semplicemente inconcepibile la legittimazione, retroattivamente fornita agli enti in questione, dalla normativa della cui legittimita' costituzionale qui si dubita, trattandosi, con ogni evidenza di un ingiustificabile premio "elargito" a chi abbia disobbedito alle leggi, che si denominano cosi' proprio perche' "legano" tutti i loro destinatari (persone o enti). L'art. 97 della Costituzione ha tradotto in norma costituzionale quello che era gia' un principio accolto costantemente dalla giurisprudenza amministrativa, che cioe' l'amministrazione fosse limitata nell'esercizio del potere discrezionale dal dovere di giustizia, di parita' di trattamento e di uniformita' di comportamento tutte le volte che cio' fosse richiesto dalla identita' delle circostanze sia nel tempo sia nello spazio, in corrispondenza al fondamentale principio dell'eguaglianza; dispone, infatti, l'art. 97 che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione. Questo dovere di imparzialita' assicura agli individui, nei loro rapporti con la pubblica amministrazione, che nessuna disparita' di trattamento (v. art. 3, della Costituzione) puo' essere ad essi usata per differenze di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali e che l'ammistrazione non solo deve tenere il debito conto degli interessi privati, ma e' tenuta anche a farne debita comparazione quando siano concorrenti fra di loro o con interessi pubblici. Cosi' come all'amministrazione incombe l'obbligo di imparzialita' nell'agire, al legislatore incombe l'obbligo, anche a fini educativi e di certezza nei rapporti, di assicurare e di attuare la imparzialita' nelle leggi che organizzano i pubblici uffici: il che non puo' certamente realizzarsi "legittimando" (sia pure con legge) l'operato di un ente pubblico che abbia deliberatamente violato l'ordinamento giuridico ed, in particolare, il principio dell'accesso concorsuale ai pubblici impieghi, l'unico idoneo a garantire la par condicio tra i vari aspiranti e la scelta meritocratica dei piu' capaci e preparati, obiettivo che non puo' avere alternative per qualsiasi degna organizzazione statuale. D'altro canto, e' appena il caso di osservare che l'ultima parte dell'ultimo comma del cit. art. 97, della Costituzione, "salvo i casi previsti dalle leggi vigenti", non puo' assolutamente consentire un simile stile di comportamento legislativo, trattandosi di eccezione riferibile esclusivamente a quelle disposizioni di favore che l'ordinamento non puo' non predisporre a vantaggio di particolari soggetti oggettivamente bisognosi di una specifica attenzione (c.d. appartenenti a categorie protette, portatori di handicap, riservatari, ecc.), e non certo estensibile analogicamente a casi non riconducibili obiettivamente a detto comune denominatore, ne', meno che mai, a situazioni create illegittimamente e che si intendano sanare. Rinviando, dunque, ogni pronuncia in rito, nel merito e sulle spese processuali, al definitivo, va sospeso il giudizio, disponendosi la trasmissione degli atti - a cura della segreteria della sezione - alla cancelleria della Corte costituzionale, affinche' quest'ultima esamini la sollevata questione di legittimita'.