IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha pronunciato la seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto  dal
 Comune  di  Corniglio,  rappresentato  e  difeso dall'avv. F. Bassi e
 domiciliato nello studio di  questo,  in  Parma,  via  Petrarca,  20,
 contro  la Commissione centrale per la finanza locale ed il Ministero
 dell'interno, rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura  distrettuale
 dello  Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Bologna, via G.
 Reni, 4; per l'annullamento della decisione 2  giugno  1992,  con  la
 quale   non   sono   state   approvate  le  controdeduzioni  comunali
 (deliberazione n. 4 del 27 febbraio 1992) ed e' stata  confermata  la
 decisione  dell'8  febbraio  1991,  relativa  alla deliberazione n. 7
 dell'8 febbraio 1991 di modifica alla pianta organica  del  personale
 comunale;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione delle Amministrazioni resistenti;
    Vista  la  memoria prodotta dalle Amministrazioni a sostegno delle
 proprie difese;
    Visti gli atti della causa;
    Udita, alla pubblica udienza del 22 novembre 1994 la relazione del
 dott. A. Scola e udito, altresi, l'avv. R. Rossolini, in sostituzione
 dell'avv. F. Bassi, per l'Amministrazione ricorrente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Il Comune ricorrente espone quanto segue.
    Con deliberazione consiliare 19 marzo 1990, n. 47,  il  comune  di
 Corniglio  si  determinava  a trasformare, tra gli altri, un posto di
 "esecutore applicato" (quarta qualifica funzionale) in  un  posto  di
 "Istruttore  aggiunto  amministrativo addetto al servizio elettorale"
 (sesta qualifica funzionale), assegnando il  posto  trasformato  alla
 sig.ra  Lorella Musetti, dipendente di ruolo dal 1 aprile 1980 e gia'
 unico titolare  in  possesso  dei  prescritti  requsiti  per  la  sua
 copertura (doc. n. 1).
    Con  deliberazione  consiliare 8 febbraio 1991, n. 7, il comune di
 Corniglio  procedeva  alla  modifica  ed  ampliamento  della   pianta
 organica  vigente,  disponendo di sottoporre detta deliberazione alla
 approvazione della Commissione centrale per la Finanza  locale  (doc.
 n. 2).
    Con  decisione  8  ottobre  1991  la  Commissione  centrale per la
 Finanza  locale,  esaminata  la  citata  deliberazione  consiliare  8
 febbraio  1991,  n.  7,  del  comune  di  Corniglio,  considerato che
 l'incremento dei posti di organico da n. 28, esistente nel precedente
 ordinamento, a n. 32, connesso al disposto ampliamento  della  pianta
 organica  comunale,  si  appalesava  solo  in  parte  giustificato da
 effettive dimostrate nuove esigenze di  servizio,  ritenuto  che  dei
 nuovi posti di organico previsti nel detto ampliamento - fossero essi
 risultanti  da  trasformazione  di  alcuni posti preesistenti, ma con
 attribuzione di  qualifiche  inquadrabili  in  piu'  elevato  livello
 funzionale, fossero essi istituiti ex novo potesse
   consentirsi  il  corso  favorevole  solo per quelli che apparissero
 obiettivamente giustificati sotto il profilo  funzionale,  oltre  che
 quantitativamente  contenuti  nei  limiti  delle  esigenze operative,
 nonche' per quelli che erano diretti a colmare carenze organiche  che
 attualmente apparivano piu' evidenti soprattutto in taluni settori in
 crescente  espansione  per effetto delle nuove attribuzioni conferite
 per  legge  agli  enti  locali,  si  determinava  ad  approvare,  con
 raccomandazioni  e  limitazioni,  la  modifica della pianta organica,
 adottata dal comune di Corniglio con la  deliberazione  consiliare  8
 febbraio  1991,  n.  7, assegnando all'ente medesimo un termine di 90
 giorni per eventuali controdeduzioni (doc. n. 3).
    Con deliberazione consiliare 27 febbraio 1992, n. 4, il comune  di
 Corniglio  si  determinava  - per quanto qui interessa - ad inoltrare
 alla  Commissione  centrale  per   la   finanza   locale   una   sola
 controdeduzione.
    Con  la  stessa,  premesso  che il comune di Corniglio con propria
 deliberazione consiliare 19 marzo 1990, n.  47,  aveva  adottato  una
 modifica  della  pianta  organica,  si  rilevava  che  la Commissione
 centrale per la Finanza locale con la decisione  controdedotta  aveva
 ritenuto  di  non approvare la trasformazione del posto di "Esecutore
 applicato"  (quarta  q.f.)  in  "Istruttore  aggiunto  amministrativo
 addetto   al   servizio   elettorale"   (sesta  q.f.),  di  cui  alla
 deliberazione consiliare 19 marzo 1990 n. 47, posto che la stessa non
 era stata espressamente citata tra le trasformazioni consentite.
    Con decisione 2 giugno 1992 la Commissione centrale per la finanza
 locale si e' determinata a non approvare le controdeduzioni formulate
 dal comune di Corniglio con la deliberazione consiliare  27  febbraio
 1992,  n.  4, confermando, per il resto, la decisione 8 ottobre 1991,
 relativa alla deliberazione consiliare 8 febbraio 1991, n. 7 (doc. n.
 5).
    Di qui il presente ricorso, proposto per:
     A) Eccesso di potere per ultrapetizione.
    Ed, infatti, dato che era stata sottoposta al suo  esame  la  sola
 deliberazione  consiliare  8  febbraio  1991,  n.  7, con la quale il
 comune di Corniglio aveva  proceduto  alla  modifica  ed  ampliamento
 della   pianta   organica,  non  era  evidentemente  consentito  alla
 Commissione di estendere il proprio sindacato ad altre  deliberazioni
 consiliari non sottoposte al suo esame.
     B) Erronea applicazione dell'art. 7, alinea, d.-l. 7 maggio 1980,
 n. 153, convertito nella legge 7 luglio 1980, n. 299.
    Risulta  inequivocabile  che  la  sottoposizione  all'esame  della
 Commissione centrale per la finanza  locale  di  una  modifica  della
 pianta  organica  di  un  ente  locale  e' richiesta dalla legge solo
 allorquando essa modifica determini un aumento di spese.
    Nel  caso  in  esame,  invece,  la  trasformazione  del  posto  di
 "Esecutore applicato" (quarta q.f.) nel posto di "Istruttore aggiunto
 amministrativo  addetto  al  servizio  elettorale" (sesta q.f) non ha
 comportato alcun aumento di spesa  a  carico  del  bilancio  comunale
 (doc. n. 7).
     C)  Violazione  dell'art.  3.1,  legge  7  agosto  1990, n. 241 -
 difetto o comunque insufficienza di motivazione.
    Le pubbliche  amministrazioni  intimate  si  costituivano  con  la
 difesa  erariale,  che  resisteva  al  ricorso, eccependo il corretto
 operato della p.a. stessa.
    Con   memoria,   il   comune   ricorrente   illustrava   le    sue
 argomentazioni.
    Con   altra   memoria,  il  comune  di  Corniglio  evidenziava  la
 recentissima entrata in vigore  di  norme  legislative  asseritamente
 coonestanti  le  sue  ragioni  ed  insisteva  per  l'accoglimento del
 gravame.
    Veniva respinta un'istanza  cautelare,  e  accolta  un'istanza  di
 prelievo.
    La controversia passa in decisione.
                                DIRITTO
    Il  primo  motivo di ricorso e' sicuramente infondato e va, quindi
 disatteso, per le ragioni accuratamente esposte dalla difesa erariale
 e  fatte  proprie  da  questo  collegio   per   la   loro   obiettiva
 attendibilita': non si puo' ravvisare "ultrapetizione" in presenza di
 una deliberazione che solo incidentalmente ha acquisito rilievo.
    Orbene,  la  C.C.F.L.,  nella  composizione  di  cui  all'art.  6,
 quindicesimo comma, del d.-l. 29 dicembre 1977,  n.  946,  convertito
 nella  legge  27 febbraio 1978, n. 43, e successive modificazioni) e'
 competente ad esaminare  le  deliberazioni  concernenti  i  piani  di
 riorganizzazione  degli  uffici  e  dei servizi degli enti locali (ai
 sensi  dell'art.  4  della  legge  n.  3  dell'8  gennaio  1979,   di
 conversione  del  d.-l.  10 novembre 1978, n. 702, riconfermato dagli
 artt. 3 e 4 del d.-l. 7 maggio 1980, n. 153, convertito nella legge 7
 luglio 1980, n. 299), il cui numero dei  posti  complessivo  venga  a
 superare il tetto del personale risultante in servizio a vario titolo
 il 31 dicembre 1976.
    L'art.  7  della  predetta  legge  n.  299  del  7  luglio 1980 ha
 riservato, invece,  all'esclusiva  competenza  della  C.C.F.L.  "ogni
 altra modifica della pianta organica comportante aumento di spesa".
    Le  modifiche  di  organico  in questione non possono, poi, essere
 deliberate dagli enti interessati se non in  presenza  di  dimostrata
 insufficienza delle piante organiche, ai sensi dell'art. 20 del d.-l.
 n.  38 del 28 febbraio 1981, convertito in legge n. 153 del 23 aprile
 1981.
    Dal complesso di queste disposizioni emerge che il legislatore  ha
 inteso  assegnare  alla  Commissione  un  incisivo potere di verifica
 delle  deliberazioni  adottate  in   materia   di   modifica   o   di
 ristrutturazione  delle  piante  organiche  del  personale degli enti
 locali,  con  ampio  margine  di valutazione tecnico-discrezionale, a
 tutela dell'interesse generale al contenimento della spesa  pubblica,
 secondo  un  criterio di uniformita' tra enti similari, potere il cui
 esercizio puo' sindacarsi in sede di legittimita'  solo  in  caso  di
 palese illogicita'.
    Questo  potere  risulta  comunque  esercitabile  ogni qualvolta la
 commissione  venga  a  conoscenza   di   deliberazioni   di   propria
 competenza,   indipendentemente   dalle  prese  d'atto  dei  comitati
 regionali di controllo che, nel caso particolare, limitano la propria
 attivita' alla verifica della legittimita' formale dei  provvedimenti
 comunali.  D'altra parte, sottrarre alla possibilita' di un controllo
 una deliberazione non trasmessa  alla  Commissione  centrale  per  la
 finanza locale significherebbe lasciare arbitro l'ente controllato di
 decidere se farla controllare o meno.
    La  deliberazione  n.  47  del  19 marzo 1990, pur comportando una
 riduzione di spesa teorica, in quanto  le  maggiori  retribuzioni  in
 favore  del  personale,  derivanti  dalle riqualificazioni dei posti,
 venivano  compensate  dalla  soppressione  di  un  posto  vacante  di
 ausiliario-fattorino,  risultava  illegittima,  dato che le modifiche
 erano state effettuate su posti  coperti  (in  violazione,  pertanto,
 della  normativa  di  accesso  in  vigore)  e,  per quel che concerne
 l'istituzione  del  posto  di  istruttore  direttivo   addetto   alla
 Segreteria,  settima  qualifica funzionale, in violazione dell'art. 2
 del d.P.R. n. 347/1983.
    Questa  norma,  suddividendo  gli   enti   in   varie   tipologie,
 corrispondenti  per  i  comuni alle classi delle segreterie comunali,
 non consentirebbe, infatti, la  presenza  nella  struttura  dell'ente
 ricorrente, di figure inquadrate nella settimna qualifica funzionale.
    Il successivo decreto del Presidente della Repubblica n. 268/1987,
 integrato  dal  d.P.R.  n.  494/1987,  pur mantenendo la suddivisione
 degli enti locali in "tipi" (art. 21, terzo comma),  ha  concesso  la
 possibilita',  ai  comuni con popolazione inferiore ai 3000 abitanti,
 di prevedere nella propria struttura figure inquadrate nella  settima
 q.f.,  in  deroga  alla  tipologia  predetta, subordinandone comunque
 l'approvazione  all'esame   esclusivo   della   C.C.F.L.   (art.   5,
 ventunesimo comma).
    A  cio'  si  aggiunga,  quanto  all'aumento di spesa asseritamente
 inesistente, che la delib.  cons.  com.  n.  4/1992  e'  praticamente
 immotivata  laddove  pretende  di ipotizzare un risparmio di spesa in
 presenza - al contrario - di un suo aumento  asseritamente  piu'  che
 controbilanciato   da   un   diminuito   lavoro   straordinario,  che
 notoriamente non puo' servire da termine di paragone, trattandosi  di
 una  voce di spesa non fissa, ma occasionale e variabile, oltre che -
 tendenzialniente - da evitarsi.
    La  riqualificazione  (trasformazione)  del  posto  di   esecutore
 applicato  in  istruttore,  essendo stata inclusa in un piu' generale
 provvedimento  di  modifica  della  pianta   organica,   comprendente
 trasformazioni  di  indubbia  competenza  della  C.C.F.L., non poteva
 pertanto essere estrapolata dalla  medesima  Commissione,  la  quale,
 effettuando  il  prescritto  esame, ha approvato la proposta ritenuta
 oltre  che  legittimabile  dal  punto   di   vista   formale,   anche
 giustificata   in   riferimento   ai   servizi   da   garantire  alla
 collettivita'.
    Alla  luce  di  quanto  sopra  risulta,  pertanto,  destituita  di
 fondamento anche la seconda doglianza.
    A questo punto, riguardo al terzo  motivo,  va  osservato  che  la
 C.C.F.L.  dopo  un  primo esame delle deliberazioni sottoposte al suo
 vaglio,  e'  pervenuta  alla  decisione  di  parziale   approvazione,
 concedendo  al  comune la possibilita' di controdedurre entro novanta
 giorni.
    Nel primo provvedimento, assunto l'8 ottobre 1991, la  commissione
 ha  concesso  l'istituzione di 2 nuovi posti e la trasformazione di 7
 unita'  preesistenti  in  altrettante  di  piu'   elevata   qualifica
 funzionale,  negando la sola trasformazione del posto di esecutore in
 quello  di  istruttore,  non  ritenuta  giustificata  da   effettive,
 dimostrate  esigenze di servizio; esigenze attentamente valutate, sia
 in considerazione della natura  e  delle  dimensioni  demografiche  e
 territoriali  dell'ente, sia con (necessario) riferimento agli indici
 proporzionali medi riscontrati in campo nazionale, in relazione  alle
 unita'  numeriche  normalmente  necessarie per il funzionamento delle
 strutture  dei  singoli  settori  (con  cio'  si  e'  effettuata   la
 valutazione comparativa prevista dall'art. 20, primo comma, del d.-l.
 n.  38/1981,  convertito  nella  legge  n.  153/1981,  che  il comune
 ricorrente asserisce invece essere mancante).
    Nel secondo provvedimento, adottato il 2 giugno  1992,  a  seguito
 delle  controdeduzioni  dell'ente,  richiamata  la  decisione  dell'8
 ottobre 1991,  alle  cui  motivazioni  la  C.C.F.L.  ha  rinviato  in
 conformita'  all'art.  3  della  legge  7 agosto 1990, n. 241 (che il
 Comune ritiene a torto esser stato violato),  e'  stata  respinta  la
 richiesta di trasformazione, essendosi, peraltro, rilevato che, nella
 specie   si   trattava   di  posto  risultante  coperto  (l'eventuale
 ammissione del nuovo posto di qualifica funzionale superiore rispetto
 a quello trasformato avrebbe comportato la violazione della normativa
 di  accesso):  non  puo',  dunque,  ravvisarsi   alcun   difetto   di
 motivazione  nel  provvedimento  della  C.C.F.L.  perche' a motivarlo
 adeguatamente e' sufficiente il richiamo (v. testi normativi citati a
 pag. 4) alla imprescindibilita' del concorso per coprire il posto  di
 livello superiore, e cio' toglie ogni pregio anche alla terza censura
 qui dedotta.
    A  questo punto, come prospetta la difesa dell'ente ricorrente, si
 evidenzia quanto segue,  dopo  che  i  tre  motivi  di  ricorso  sono
 risultati infondati.
    Nella  Gazzetta  Ufficiale  n.  253  del  28 ottobre 1994 e' stata
 pubblicata la legge 28 ottobre 1994, n. 596  (conversione  in  legge,
 con  modificazioni, del decreto-legge 27 agosto 1994, n. 515, recante
 provvedimenti urgenti in materia di finanza locale per l'anno 1994).
    In forza dell'art. 2.01 della  citata  legge,  all'art.  3,  della
 legge  24  dicembre  1993,  n.  537,  dopo  il  sesto comma, e' stato
 inserito il seguente comma 6-bis:
      "I provvedimenti deliberativi  riguardanti  il  trattamento  del
 personale  degli  enti locali che, adottati prima del 31 agosto 1993,
 abbiano previsto profili professionali od  operato  inquadramenti  in
 modo difforme dalle disposizioni contenute nel decreto del Presidente
 della  Repubblica  25 giugno 1983 n. 347 e successive modificazioni e
 integrazioni, sono validi ed efficaci. La disposizione  del  presente
 comma  si  applica  agli  enti  locali  ancorche'  dissestati  i  cui
 organici, per effetto dei provvedimenti di cui sopra, non superino  i
 rapporti  dipendenti-popolazione  previsti dal quattordicesimo comma,
 del  presente  articolo,  cosi'  come  modificato  dall'art.  2   del
 decreto-legge 27 agosto 1994 n. 515".
    Evidenziato  che  il  comune di Corniglio, rientrante nella fascia
 demografica da 1.000 a 2.999 abitanti, ha un organico  non  superante
 il   rapporto   dipendenti-popolazione   consentito  e  cioe'  1/100,
 sembrerebbe incontrovertibile che la questione  dedotta  in  giudizio
 abbia trovato una soluzione favorevole al comune ricorrente in virtu'
 del precetto legislativo sopra riportato.
    Orbene,  proprio  questo  risultato induce il collegio a sollevare
 d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale della normativa
 appena ricordata,  per  contrasto  con  gli  artt.  3  (principio  di
 uguaglianza   formale   e   sostanziale)  e  97  (buon  andamento  ed
 imparzialita' della pubblica amministrazione; accesso concorsuale  ai
 pubblici impieghi), della Costituzione. Tale questione e' palesemente
 rilevante  ai  fini  del  giudizio  in corso (per quanto si e' appena
 finito di esporre, attesa l'infondatezza delle  tre  censure  dedotte
 col ricorso introduttivo) e non manifestamente infondata, come emerge
 dalle  considerazioni  che  seguono  e  che  inducono  la  Sezione  a
 trasmettere gli atti processuali  alla  Corte  costituzionale  ed  ad
 attenderne   una  pronuncia  in  merito,  tanto  sembra  evidente  il
 contrasto con le citate  norme  costituzionali,  circa  le  quali  va
 ricordato quanto segue.
    La  Costituzione,  quanto  al  principio  di  uguaglianza, oltre a
 presupporlo in molte altre disposizioni, ne fa oggetto  di  specifica
 dichiarazione nell'art. 3, per il quale: "Tutti i cittadini . .. sono
 eguali  davanti  alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di
 lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni  personali
 e sociali".
    Tale  statuizione,  ispirata  alle  esigenze della giustizia e del
 rispetto della  persona  e  che  e'  strettamente  collegata  con  la
 dichiarazione   contenuta  nell'art.  1,  per  cui  l'Italia  e'  una
 repubblica democratica, consacra il  principio  di  eguaglianza  come
 fondamentale per il vigente ordinamento costituzionale.
    Essa  ha  un significato duplice: per quanto riguarda la posizione
 del popolo nello Stato e nella struttura  stessa  di  questo;  e  per
 quanto riguarda la posizione dei cittadini.
    Sotto il primo aspetto si tratta del risultato e della conclusione
 del   movimento   filosofico  e  politico,  durato  per  secoli,  per
 l'abolizione  degli  arbitri  e  dei  privilegi  e  per  la  generale
 partecipazione  del  popolo  alla  vita  dello  Stato. La democrazia,
 intesa  appunto  come  partecipazione  di  tutti  i  cittadini   alla
 formazione  ed  al funzionamento dei massimi organi dello Stato, come
 accoglimento del principio della maggioranza  e  della  tutela  delle
 minoranze  e  dei  singoli,  come  diritto dei cittadini a non essere
 governati  che  dalla  somma  della  loro  volonta',  trova  il   suo
 fondamento  nel  principio  di  eguaglianza.  Esso  informa di se' la
 struttura dello stato, attuale ed  anche  futura,  poiche'  la  quasi
 totalita'  dei  principi  direttivi  e  programmatici contenuti nella
 costituzione sono riaffermazioni ed applicazioni, in  campi  diversi,
 del  principio  di  eguaglianza,  per  il quale, appunto, non si puo'
 consentire che enti locali che abbiano  violato  la  legge  siano  in
 qualche modo "premiati" rispetto a quelli che l'abbiano rispettata.
    Il principio di uguaglianza e', altresi, strettamente connesso con
 la   disposizione   dell'art.   2   della  Costituzione,  poiche'  il
 riconoscimento dei diritti del singolo e l'imposizione dei doveri  di
 solidarieta'   secondo  giustizia,  sono  altrettanti  corollari  del
 principio di eguaglianza: tradotti  in  istituzioni  politiche  danno
 vita alla "rappresentativita'" dello Stato.
    Sotto  il  secondo  aspetto,  la  disposizione vuol significare la
 eguaglianza giuridica dei cittadini che si concreta in un  loro  modo
 generale di essere (per quanto riguarda la personalita', i diritti, i
 doveri,   le   potesta',  ecc.),  che  garantisce  all'individuo  una
 condizione o posizione status  di  parita'  giuridica  rispetto  agli
 altri individui e di parita' di trattamento a parita' di condizioni e
 di  requisiti.  Dove  manca  un motivo ragionevole ed accettato dalla
 comune coscienza giuridica per stabilire  trattamenti  differenziati,
 deve  essere usata eguaglianza di trattamento: e cio' vale, a maggior
 ragione, per gli enti pubblici.
    Il principio, secondo  una  ormai  assodata  giurisprudenza  della
 Corte  costituzionale  (sentenze  26  gennaio  1957, n. 28; 14 luglio
 1958, n. 52; 3 ottobre 1958,  n.  56;  14  luglio  1961,  n.  42;  28
 novembre  1961,  n.  64, 27 febbraio 1962, n. 8 e, relativamente alla
 imposizione di tributi, 13 dicembre 1963,  n.  155),  va  inteso  nel
 senso:
      1) che ad eguaglianza di condizioni soggettive ed oggettive deve
 corrispondere  eguaglianza  di  trattamento  legislativo,  mentre non
 vanno  pareggiate  situazioni  oggettivamente  diverse,  perche'   il
 principio  di  eguaglianza  vieta  che si dettino leggi diseguali per
 casi eguali e leggi eguali per casi disuguali. Da un lato, e' vietata
 la concessione di privilegi, cioe' l'attribuzione al  singolo  (ente)
 di  situazioni,  diritti,  ecc.,  particolari,  che  in  qualche modo
 amplino il suo stato giuridico rispetto  a  quello  di  cui  gode  la
 generalita'   dei   soggetti  che  si  trovino  in  pari  condizioni;
 dall'altro, sono vietate le esclusioni e le  limitazioni  che  creino
 una  disparita' di trattamento per persone (o enti) che si trovino in
 parita' di condizioni o per il singolo rispetto alla generalita';
      2) che il legislatore ordinario possa dettare norme diverse  per
 regolare   situazioni   che   egli  ritenga  obiettivamente  diverse,
 adeguando cosi' la disciplina giuridica agli svariati  aspetti  della
 vita.  La  diversita'  delle  situazioni deve risultare da criteri di
 razionalita' e  congruita'  comunemente  accolti  e  deve  riguardare
 categorie di destinatari e non singoli cittadini (o singoli enti).
    Non  puo', in definitiva, ammettersi che i dipendenti di enti che,
 nell'effettuare gli inquadramenti spettanti a questi stessi  in  base
 alla  normativa  in vigore, a quest'ultima si siano attenuti, vengano
 trattati in modo peggiore rispetto ai dipendenti favoriti (magari per
 episodi  di  clientelismo  o  addirittura  per   episodi   penalmente
 rilevanti) dagli enti che tale normativa abbiano violato.
    Quanto  invece,  all'art.  97, della Costituzione (buon andamento;
 imparzialita' della p.a.; accesso concorsuale ai pubblici  impieghi),
 valgono invece, le considerazioni che seguono.
    La   funzione  amministrativa  deve  sempre  svolgersi  secondo  i
 principi sanciti dalle leggi, nei limiti da queste fissati  e  per  i
 fini   che   le  leggi  impongono  di  perseguire,  per  cui  risulta
 semplicemente  inconcepibile  la   legittimazione,   retroattivamente
 fornita   agli   enti   in   questione,  dalla  normativa  della  cui
 legittimita' costituzionale qui  si  dubita,  trattandosi,  con  ogni
 evidenza  di  un  ingiustificabile  premio  "elargito"  a  chi  abbia
 disobbedito alle leggi,  che  si  denominano  cosi'  proprio  perche'
 "legano" tutti i loro destinatari (persone o enti).
    L'art.  97  della Costituzione ha tradotto in norma costituzionale
 quello  che  era  gia'  un  principio  accolto  costantemente   dalla
 giurisprudenza  amministrativa,  che  cioe'  l'amministrazione  fosse
 limitata  nell'esercizio  del  potere  discrezionale  dal  dovere  di
 giustizia,   di   parita'   di   trattamento   e  di  uniformita'  di
 comportamento tutte le volte che cio' fosse richiesto dalla identita'
 delle circostanze sia nel tempo sia nello spazio,  in  corrispondenza
 al  fondamentale principio dell'eguaglianza; dispone, infatti, l'art.
 97 che i pubblici uffici sono  organizzati  secondo  disposizioni  di
 legge   in   modo   che   siano   assicurati   il  buon  andamento  e
 l'imparzialita' dell'amministrazione.
    Questo dovere di imparzialita' assicura agli individui,  nei  loro
 rapporti  con  la pubblica amministrazione, che nessuna disparita' di
 trattamento (v. art. 3, della Costituzione) puo' essere ad essi usata
 per differenze di sesso,  di  razza,  di  lingua,  di  religione,  di
 opinioni  politiche  e  di  condizioni  personali  e  sociali  e  che
 l'ammistrazione non solo deve tenere il debito conto degli  interessi
 privati,  ma e' tenuta anche a farne debita comparazione quando siano
 concorrenti  fra  di  loro  o  con  interessi  pubblici.  Cosi'  come
 all'amministrazione incombe l'obbligo di imparzialita' nell'agire, al
 legislatore  incombe  l'obbligo, anche a fini educativi e di certezza
 nei rapporti, di assicurare e di attuare la imparzialita' nelle leggi
 che organizzano  i  pubblici  uffici:  il  che  non  puo'  certamente
 realizzarsi  "legittimando" (sia pure con legge) l'operato di un ente
 pubblico che abbia deliberatamente  violato  l'ordinamento  giuridico
 ed, in particolare, il principio dell'accesso concorsuale ai pubblici
 impieghi,  l'unico  idoneo  a  garantire  la  par condicio tra i vari
 aspiranti e la scelta meritocratica  dei  piu'  capaci  e  preparati,
 obiettivo   che  non  puo'  avere  alternative  per  qualsiasi  degna
 organizzazione statuale.
    D'altro canto, e' appena il caso di osservare che  l'ultima  parte
 dell'ultimo comma del cit. art. 97, della Costituzione, "salvo i casi
 previsti  dalle  leggi vigenti", non puo' assolutamente consentire un
 simile stile di comportamento legislativo, trattandosi  di  eccezione
 riferibile   esclusivamente  a  quelle  disposizioni  di  favore  che
 l'ordinamento non puo' non predisporre  a  vantaggio  di  particolari
 soggetti  oggettivamente  bisognosi di una specifica attenzione (c.d.
 appartenenti   a   categorie   protette,   portatori   di   handicap,
 riservatari, ecc.), e non certo estensibile analogicamente a casi non
 riconducibili  obiettivamente  a detto comune denominatore, ne', meno
 che mai, a situazioni create  illegittimamente  e  che  si  intendano
 sanare.
    Rinviando,  dunque,  ogni  pronuncia  in  rito, nel merito e sulle
 spese  processuali,  al   definitivo,   va   sospeso   il   giudizio,
 disponendosi  la  trasmissione  degli  atti - a cura della segreteria
 della  sezione  -  alla  cancelleria  della   Corte   costituzionale,
 affinche'    quest'ultima   esamini   la   sollevata   questione   di
 legittimita'.